Il verbo partecipare ha una storia antica e un uso moderno che merita di essere “messo a fuoco” con precisione. La sua origine risale al latino participare, composto da pars, partis (“parte”) e capere (“prendere, afferrare”) il cui significato era, dunque, “prendere parte”, “condividere”, “rendere partecipe”. Da questa radice etimologica deriva la duplice possibilità d’uso che ancora oggi caratterizza il verbo in italiano, con sfumature diverse a seconda che sia adoperato in forma transitiva o intransitiva.
Quando è intransitivo, partecipare regge normalmente la preposizione a e significa “prendere parte a qualcosa”, “essere presente e attivo in un evento, in un’attività, in una decisione”. Si dice per esempio: “Ho partecipato alla riunione”, “Partecipiamo al concorso”, “Molti cittadini hanno partecipato alle elezioni”. In questi casi il sintagma verbale indica l’atto di unirsi a un insieme, di condividere un’esperienza o un processo.
Quando invece è transitivo, il lessema assume il senso di “rendere partecipe qualcuno”, cioè “comunicare, condividere, trasmettere”. È un uso meno frequente, ma pienamente legittimo e radicato nella tradizione letteraria e burocratica. Manzoni, nei Promessi Sposi, scrive: Don Abbondio gli partecipò la notizia. Foscolo, in una lettera del 1815, annota: Vi partecipo la mia risoluzione. In entrambi i casi il verbo non significa “prendere parte”, bensì “far sapere”, “informare”, “mettere a parte”.
Un esempio quotidiano di questo uso transitivo è rappresentato dalle partecipazioni di nozze: i biglietti inviati dai futuri sposi per rendere partecipi amici e parenti del loro matrimonio. In questo caso il sostantivo “partecipazione” deriva direttamente dal verbo transitivo e indica il comunicare ufficialmente un evento, non quello di prendervi parte.
La differenza è netta: nell’uso intransitivo il soggetto entra in un’esperienza comune, nell’uso transitivo il soggetto fa entrare altri in una propria esperienza o conoscenza. In un caso si partecipa a (un evento), nell’altro si partecipa (comunica) qualcosa a qualcuno.
Questa duplicità, che deriva direttamente dall’etimologia latina, è ancora viva e utile. Da un lato il verbo conserva il valore comunitario di “essere parte di”, dall’altro mantiene il valore comunicativo di “rendere partecipe”. È importante non confondere i due usi, perché il significato cambia radicalmente. Dire “partecipare una notizia” non equivale a “partecipare a una notizia”, che non ha alcun senso.
In conclusione, partecipare è un verbo che porta con sé la memoria della sua origine latina e che, proprio grazie alla sua doppia costruzione, permette di esprimere sia l’idea di condivisione attiva sia quella di comunicazione. È un esempio chiaro di come la grammatica non sia solo regola, ma anche storia e sfumatura di significati.
Partecipare è vivere due volte: quando entri in ciò che accade e quando lo fai entrare negli altri, trasformando l’esperienza in memoria condivisa.
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Questo e codesto
"Questo" e "codesto" appartengono alla famiglia dei dimostrativi italiani, strumenti essenziali per collocare persone, oggetti o concetti nello spazio e nel tempo. La loro origine è chiara: questo nasce dal latino volgare eccu(m) istum, fusione di “ecce” e “istum”, con il significato di “ecco questo”, e indica ciò che è vicino a chi parla. Codesto, invece, viene da eccu(m) tibi istum, i. e. ; “eccoti questo”, e segnala ciò che è presso l’interlocutore, vicino a chi ascolta ma non a chi parla. La distinzione è sottile ma preziosa: dire "questo libro" significa che il volume è accanto a chi pronuncia la frase, mentre "codesta penna" indica l’oggetto posto presso l’interlocutore.
Nel parlare quotidiano "questo" è rimasto vitale e onnipresente, adoperato sia come aggettivo ("questa casa è luminosa") sia come pronome ("ti piace questo?"), e persino per marcare il tempo presente ("questa settimana sono impegnato"). "Codesto", invece, ha conosciuto un progressivo declino, tanto da risultare quasi scomparso nella lingua comune, sostituito da "quello". Sopravvive però in due ambiti: nella lingua burocratica e giuridica, dove mantiene un tono formale e preciso ("si prega di inviare la documentazione a codesto o"), e nel parlato toscano, dove continua a svolgere la sua funzione originaria ("mi passeresti codesto giornale che hai in mano?").
La triade dei dimostrativi italiani si completa con "quello", che indica ciò che è lontano da entrambi i poli della comunicazione. Così, la lingua dispone di tre gradi di distanza: "questo" per la vicinanza al parlante, "codesto" per la prossimità all’ascoltatore, "quello" per la lontananza da entrambi. La scorrevolezza del loro utilizzo si coglie negli esempi concreti: "questo fiore profuma di primavera", "codesta sedia su cui sei seduto è comoda", "quella montagna all’orizzonte sembra irraggiungibile".
La chiarezza della distinzione, pur oggi attenuata dall’oblio di "codesto", rivela la raffinatezza della grammatica italiana, capace di modulare con precisione lo spazio e il tempo attraverso la scelta di un semplice dimostrativo.
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La dinasty Berlusconi e quel “quid” che non si trova mai
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Insistono con i barbarismi, ma non sanno neanche come si scrivono: dynasty (doppia y).
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